Dal libro "Cavarzere, la sua Chiesa e la sua Storia" di Rolando Ferrarese.
I conflitti tra Cavarzere ed Adria.
Attorno all’anno mille scontri, razzie e conflitti di confine tra "veneziani" e adriesi

TORNA

Un lungo gioco politico pone Cavarzere in una posizione assai delicata: gli imperatori, sia Franchi che Tedeschi, cercano di usufruire del suo territorio come punto strategico e come base per effettuare il controllo del transito verso la pianura Padana. In questo modo possono osteggiare sia i progetti della Repubblica Veneta e sia quelli del feudo adriese, del quale costituiscono una continua minaccia.
Nel 1002 Cavarzere e Loreo vengono "cedute" dall'imperatore a Venezia. I due centri si offrono per il baratto, poi si lasciano convincere dal doge, Pietro Orseolo, che conviene loro far parte del dogato piuttosto che rimanere libere, cioè autonome e senza alcun protettore.
 

I patteggiamenti e le fortificazioni lungo la linea dell'Adige, con battifredi e fortini, vengono considerati un affronto dal Vescovo di Adria (il quale sembra aver avuto assicurazione da parte dei Cavarzerani e dei Loredani - secondo il Morinelli sulla loro indipendenza).
La disputa sui confini comincia con scorrerie notturne di turbolenti, che attraversano l'Adige per rapire dei capi di bestiame le fattorie cavarzerane più prossime, sotto il tacito consenso dell'autori-tà adriese.
I Cavarzerani rispondono vendicandosi: si portano nel territorio di Adria, incendiano fienili, sgarettano i bovini, distruggono il grano in via di maturazione.
Dispetti e rappresaglie aumentano. Poi il Vescovo adriese, vista l'eccitazione degli animi che ormai regna tra i suoi sudditi, decide di prendere direttamente l'iniziativa, sperando di cogliere di sorpresa i Veneziani.
Pietro I si mette a capo di improvvisate milizie, si porta sotto il castello di Loreo e lo attacca, violando anche i confini di Cavarzere e Chioggia.
L'azione avventata s'infrange contro la resistenza dei difensori:
soldati e marinai di Chioggia, comandati da Marino de' Manfredi, che di guerra se ne intende; mentre altra gente, pratica di armi, arriva da Cavarzere e da Loreo, guidata dallo stesso doge, Orseolo.
Come narra il Morari, lo scontro avviene alle foci dell'Adige, a Fosson, fra truppe bene addestrate e inquadrate e una massa di volonterosi adriesi, senza disciplina militare e mancanti di un vero capo che capisca l'arte della guerra.
Il confronto è cruento. Gli incitamenti a difendere la bandiera adriese a nulla approdano - scrive il Morinelli - perché la sconfitta è bruciante.
Il Vescovo è indotto alla resa, dopo aver visto tanti suoi fedeli morti o morenti. E' l'anno 1007.
Ripiegate le armate in disordine, alla sconfitta succede l'umilia-zione: costretto dagli eventi sfavorevoli alla sua politica, Pietro I chiede la pace a Venezia.
I Veneziani non si accontentano di una semplice dichiarazione rilasciata a Rivo Alto (Rialto) e firmata dal Vescovo e dagli Adriesi Vito chierico e dal console Anastasio e dai valvassori Teobaldo Longo, Grimoaldo Giovanni di Gherarso.
L'impegno preteso da Adria è "a non più molestare il Castello di Loreo e i luoghi soggetti al Veneto dominio" e la sottomissione "ad altre onerose condizioni".
Nel 1010 il castello di Loreo passa definitivamente ai Veneziani. E in cambio la Repubblica si impegna a mantenere buoni rapporti col Vescovo adriese: collaborazione nei periodi di calamità e alluvione, di carestia e minacce belliche verso il suo territorio.
Comincia, in questo modo, il lento declino dell'autorità temporale polesana, oltre che politica, anche nel territorio del Cavarzerano, influenzato sempre più dal Dominio Veneto.
Non per questo il confine cavarzerano diviene più sicuro dalla parte di Adria. Scosso il prestigio del grande feudatario adriese, nuove forze si affacciano alla ribalta della storia.
Mutamenti e conflitti politico-religiosi si vanno addensando sopra il capo di tutti; imponendo, sia all'autorità politica che a quella ecclesiastica, mortificanti limitazioni.

I motivi della disputa

Parlando della Chiesa nella storia di Cavarzere è lecito chiedersi se la sua terra e la sua gente furono soggetti o meno alla sovranità del prelato adriese (facente capo all'Esarcato di Ravenna, come Venezia), prima di dipendere dalla diocesi di Malamocco e poi di Chioggia.
Secondo il Bocchi, l'agro Adriano si estendeva anticamente "lungo il mare e nelle lagune di Chioggia e Comacchio", abbracciava "parte dell'odierne provincie di Venezia e Ferrara" e la diocesi di Adria si estese non solo fino a Badia ma "anche al di là dell'Adige".
Al tempo di Plinio risulta che il Po faceva un'immensa laguna tra Ravenna ed Altino, tutta frastagliata di isole. Gli Etruschi vi avevano praticato dei lavori, interrotti e distrutti dai Galli. Ne avevano fatto pure i Romani, per mantenere le comunicazioni con la capitale.
Questo apparve dai resti dei manufatti costruiti per incanalare le acque, dei quali se ne scoperse a Monsole, Foresto e Cantarana di Cona.
Annota il Silvestri, a proposito dei vescovi adriesi, che "estendevano, per vero dire, una volta molto di più la loro giurisdizione, ma per quale cagione sia restata diminuita, o pregiudicata, non saprei rendermene conto".
E ancora: "Trovasi che fino al 1590 il Cardinale Canano, che fu Vescovo di Adria, fece la visita.., delle due Chiese principali delle Terre di Cavargine e Loredo... benché sieno sotto la Giurisdizione del Vescovo di Chioggia".
Era il tempo in cui i vescovi di Adria godevano di una stima ancora maggiore, in quanto la sede aveva avuto in poco più di un secolo cinque cardinali.
Le prime notizie sui vescovi adriesi ce li mostrano sotto il gius metropolito di Ravenna.
Secondo il Bocchi, "questo può credersi cominciato non per imperiale, ma per papale concessione in Giovanni Angelopte (angelum videns) intorno al 439. Sinodi, consacrazioni, atti pubblici e privati fanno accertare la dipendenza da Ravenna".
Solo nel 1819 Adria fu sottoposta al Patriarca di Venezia, come tutto il Veneto.
Una bolla che Papa Nicolò I il Grande emise nell'anno 863 viene considerata dal Morinelli un documento base per la storia civile ed ecclesiastica adriese. Il Pontefice "concede ed elargisce" al Vescovo di Adria Leone "la selva maggiore fino alla fossa di Tillio che giunge fino al fiume Tartaro, ed il fondo di Brondolo e Argine (Cavarzere)...".
Il territorio del grande feudo adriese avrebbe avuto per limite, a nord, l'Adige.
Nel 944, lo stesso Papa Martino II (o Marino II) che "istituì" Pietro I vescovo di Adria gli assegnò, o come giurisdizione ecclesiastica o come confine, i precedenti beni con altri, fra cui tutta l'isola tra l'Adige e il Tartaro: comprese Cavarzere e Loreo, che già apparivano sotto Venezia.
Il Tartaro, chiamato dai latini Fossiones Philistine, era l'antico corso d'acqua che faceva capo a Cavarzere, un ramo del quale sfociava in mare presso Cavanella, mentre l'altro si congiungeva col Po per il canale di Loreo e la Vallona.
L'Adige del tempo scorreva con un braccio molto discosto da Cavarzere, a sud, sboccando nella laguna di Chioggia.
Fra le "possessioni" del Vescovo di Adria, Papa Martino confermava "portus qui vocatur Laureti". Il che lascia dubbio al Butto "se fosse veramente Loreo che si chiamasse porto od emporio commerciale, posseduto dal Vescovo, o fosse un porto o canale detto di Loreo che appartenesse, come ci vien confermato dal diploma di Enrico imperatore nel 1054".
Sempre secondo il Bullo, "Cavarzere viene nominato non come compreso fra le possessioni del Vescovo di Adria ma come confine. Dicendo... usque flumen Athicem seu Sulicini... Tribano et Maudanacus seu Anguillaria et Capite Argelle (Cavarzere)".
Scrive lo stesso storico: "Comunque sia l'Autorità del Vescovo di Adria sui detti luoghi non poté che essere che tutta spirituale perocché noi li vediamo da tutti gli storici e da tutti i documenti anteriori degli imperatori e della Repubblica noverati fra le popolazioni Veneziane. Essi peraltro appartengono da remotissimo tempo alla Diocesi di Chioggia e se furono d'Adria in pria a Chioggia probabilmente passarono nel tempo della restituzione di Ottone III".
In fatto di fede, l'appartenenza all'una o all'altra diocesi non ha alcuna rilevanza. In fatto di storia, sarebbe opportuno ristabilire, non certo per motivi campanilistici, quali legami esistessero anticamente tra Adria e Cavarzere.
Un fatto è certo: che il Vescovo di Adria, nonostante le contese di confine con i Veneziani, non aveva mancato di affidare anche nella zona di Cavarzere, assieme ai grandi proprietari terrieri, i fondi ai contadini, perché li bonificassero e li lavorassero; accordando loro "livelli" ed "enfiteusi" a scadenza.
Il prelato adriese, al pari del doge veneziano, concedeva il "glandari-zio", cioé il libero uso delle ghiande per il pascolo dei porci selvatici; il "vagantivo" nelle valli, che consisteva nel diritto dei poveri di pescare, anche in quelle riservate alla caccia e alla pesca. Nei boschi concedeva lo "sterpatico", sempre ai poveri, cioè il diritto di far legna.
Furono queste varie forme di diritto esercitate nel Cavarzerano e nel Loredano, fin dai tempi antichi, che costituirono a loro volta motivo di controversia tra gli Adriesi e i Veneziani.
Adria era stata promossa a Municipio romano nel 98 avanti Cristo e il confine era costituito a settentrione dalla linea tortuosa dell'Adi-ge, appunto. Tale limite aveva in un certo senso ereditato il feudo adriese, che riteneva di avere per confine Cavarzere, compresa.


Chi era il Vescovo Conte

Il Vescovo di Adria aveva appreso l'arte del governo durante il dominio dei Goti.
Il completo abbandono dei pubblici poteri lo portò a preoccu-parsi di dare ordine anche alle cose pubbliche.
Più ampia autorità assunse il prelato sotto l'Esarcato di Ravenna, essendo rimasto il solo a difendere i cittadini dalle prepotenze e dalle vessazioni del potere centrale e degli alti magistrati.
Il suo crescente potere non gli derivò solo dalla conoscenza delle leggi e dalla autorità spirituale, ma anche dal fatto che il capo religioso era divenuto - come scrive il Morinelli - "un grande proprietario terriero".
Come tale era magistrato cittadino che doveva assumere la rappresentanza di importanti interessi del Municipio e della Provincia.
Era il Vescovo "grande proprietario" non solo a titolo personale ma come capo della Chiesa adriese.
Poteva accettare donazioni dai superstiti delle ricche famiglie colpite dalle frequenti alluvioni e epidemie, con l'impegno di far pregare i sacerdoti per i benefattori, anche dopo la loro morte e per lungo tempo.
Alluvioni, guerre e pestilenze portarono il Vescovo ad accrescere sempre più la sua ricchezza terriera e la sua giurisdizione divenne una vera e propria signoria temporale.
In questo modo, il Cristianesimo penetrò nelle campagne, sorsero cappelle e luoghi di culto, sotto la guida di sacerdoti nominati e dipendenti dal Vescovo, chiamati "pievi".
I diritti e le proprietà del tempo variavano secondo la politica.
Le proprietà terriere si dividevano in "beni feudali" e "beni allodiali". I primi erano regolati dal diritto pubblico e ne beneficiava solo il "feudatario". I secondi erano di piena proprietà di privati cittadini, non tenuti all'obbligo di rispettare vincoli o tributi feudali.
I "beni allodiali" potevano passare per donazione alla Chiesa. Il Vescovo di Adria ne aveva ottenuto in lascito anche a Cavarzere e Loreo.
L'importanza del prelato adriese, fin dal secolo VII, è dimostrata dalla partecipazione del vescovo Galianisto al Concilio Lateranense di Roma, nel 641, e dal Sinodo romano, del 649.
Le periodiche guerre tra l'Esarcato di Ravenna e i Longobardi indussero Adria a temere sempre più per la sua sorte.
Unica speranza, in caso di bisogno, era di ottenere degli aiuti militari da Comacchio, da Cavarzere e Piove di Sacco, dove esistevano delle colonie bizantine; costituite col preciso compito di garantire la via di comunicazione delle città di Grado, Aquileia e Venezia con la capitale Ravenna.
Il Vescovo di Adria doveva soddisfare il duplice compito di carattere religioso (per estendere la penetrazione cattolica nella sua vasta giurisdizione episcopale) e di carattere militare, a difesa dell'Esar-cato di Ravenna, come da ordini del Papa.
Quando i Franchi donarono e confermarono il possesso dell'Esar-cato di Ravenna al Papa sia Venezia che Adria si svincolarono dall'impera-tore bizantino.
Il Vescovo di Adria si ritenne indipendente da Ravenna, sia dal lato temporale che da quello spirituale, riconoscendosi rappresentante diretto del Papa ed erede del vecchio. Municipio romano, assumendo il titolo di Vescovo Conte.
Vari erano i diritti dei vescovi in quel tempo. Godevano di parte delle multe inflitte ai rei e di un censo annuo per ogni focolare, in legna, polli e altro. Avevano la quarta parte delle bestie tolte a pegno, ferite o uccise dai "saltari" (guardiani dei boschi); la quarta parte dell'erbatico, cioè del fitto pagato per il pascolo delle bestie forestiere; la quarta parte della "manopostura", ossia della multa inflitta a chi recava danno agli alberi e alle terre dell'altrui proprietà; avevano diritto al "ripatico", ovvero al dazio pagato dalle barche che giungeva-no alle rive dei fiumi e all'"albergaria", vale a dire all'alloggio gratuito.
Questo oltre a tante opere per ogni anno per il loro sostentamento e quello dell'ufficio, nonché a servizi con battelli e con barche.